IN USCITA “IO, IBRA”, LA BIOGRAFIA DI ZLATAN IBRAHIMOVIC



Arriva in edicola il libro “Io, Ibra”, biografia del campione del Milan (e non solo) Zlatan Ibrahimovic. Una storia dura, aspra che parla di disagio sociale, abbandono, solitudine, ricerca dell’amore e della felicità e naturalmente di riscatto. In 396 pagine, il campione milanista, attraverso la penna di David Lagercrantz, racconta la sua vita che è stata, anche se tra mille difficoltà, straordinaria. In uscita in Italia a fine settimana per Rizzoli, la biografia di Ibrahimovic si preannuncia come un piccolo successo, noi ve ne proponiamo alcuni estratti sperando di incuriosirvi tanto da spingervi ad acquistare un libro che val la pena essere letto.
GLI ESTRATTI DAL LIBRO “IO, IBRA”

L’arresto di mamma, mia sorella drogata, ma avevo il pallone
“Era l’autunno del 1990. Anche se tutti cercavano di tenermi fuori da queste cose, io intuivo. In casa c’era molta agitazione, anche se non era la prima volta: mia sorella maggiore faceva uso di droghe, roba pesante, nascondeva tutto in casa e c’era spesso casino intorno a lei, personaggi loschi che telefonavano e una gran
paura che succedesse qualcosa di grave. Un’altra volta la mamma era stata fermata per ricettazione. Qualche conoscente le aveva detto: “Puoi tenermi questa collana?” e lei lo aveva fatto, ovviamente in buona fede. Ma poi venne fuori che si trattava di merce rubata, un giorno la polizia fece irruzione da noi e arrestò la mamma. Ho un ricordo vago, come una strana sensazione, tipo: “Dov’è la mamma? Perché non c’è più?”. (…) Ma avevo il calcio. Era roba mia e  giocavo tutto il tempo, in cortile e a scuola.”

Quante bici rubate, persino quella dell’allenatore…
“Il campo d’allenamento del Malmö era a 7 km da casa e spesso dovevo farmela a piedi: qualche volta la tentazione era troppo grande, soprattutto se mi capitava di vedere una bella bici. Una volta ne adocchiai una gialla con su un sacco di scatole e pensai: “Perché no?”. Così la presi. Ma dopo un po’ cominciai a farmi delle
domande, tipo c’è qualcosa di strano in queste scatole, e allora capii: era la bicicletta di un postino, stavo andando in giro con la posta del quartiere! (…) Un’altra volta mi portarono via l’ultima bicicletta che avevo
rubato, chi la fa l’aspetti, e io stavo impalato lì fuori dal campo a pensare al da farsi: fregai una bici nuova
che era lì fuori dagli spogliatoi. (…) Tre giorni più tardi tutta la squadra fu convocata per una riunione sul
furto della bicicletta dell’allenatore in seconda…” 

Il vhs da studiare: “Ecco Van Basten guarda e impara”
“”Ibra, vieni qui!” L’angoscia di essere convocato non mi passerà mai, e cominciai a chiedermi: “Ho rubato di
nuovo una bicicletta? Oppure tirato una testata al tipo sbagliato?”. (…) Quando entrai, trovai Capello con addosso solo un asciugamano. Aveva fatto la doccia. Gli occhiali erano appannati, e gli spogliatoi erano malandati come al solito.(…) “Siediti” disse. Di fronte a me c’era un vecchio televisore con un videoregistratore
ancora più vecchio, e Capello v’infilò dentro una cassetta VHS. “Mi ricordi Van Basten (…) ma lui si muoveva meglio di te in area. Qui ho raccolto le sue reti. Studia i movimenti”. Capello uscì e io cominciai a guardare.
(…) dopo dieci minuti iniziai a chiedermi quando sarei potuto andare via. Capello aveva qualcuno che controllava fuori della porta? Non era impossibile.”

Il mio letto Ikea portato a spalla da papà Superman
“Quando acquistammo un nuovo letto per me, all’Ikea, papà non poteva permettersi le spese di trasporto. La consegna a domicilio costava 500 corone extra o qualcosa del genere, perciò che cosa dovevamo fare? Semplice. Papà si trasformò in Superman: portò il letto sulla schiena per tutta la strada dall’Ikea a casa, un’autentica follia, chilometro dopo chilometro, e io lo seguivo con le testate. Non pesavano niente al confronto. Eppure non riuscivo a stargli dietro. “Fai con calma, papà. Fermati, ogni tanto”. Ma lui procedeva come un carro armato. Aveva quello stile macho, e dovevate vederlo quando compariva con il suo fare da cowboy alle riunioni dei genitori a scuola. (…) Gli insegnanti di sicuro non osavano lamentarsi di me tanto quanto avrebbero voluto: “Con quel tipo dobbiamo andarci un po’ cauti!”.”