NELLA FABBRICA DEI RAGAZZI CAMPIONI DI TUTTO


Ve lo riportiamo integralmente perché spiega bene il calcio giovanile moderno. Quello che appunta “fabbrica” campioni. Con stile, gioco, mentalità. E programmazione. Fin dal settore giovanile. La cantera del Barça, fabbrica di campioni. Esempi? Victor Valdes, Pujol, Xavi, Messi, Iniesta, Piqué, Busquets, Dos Santos, Jeffren e Pedro: tutti cresciuti alla Masia. La cascina, in catalano. Costruita nel 1702, diventata sede del club 248 anni dopo, dal 1979 è la residenza dei ragazzi che inseguono il sogno. Oltre che un pallone. Il futuro sarà la palazzina in costruzione all’interno della Ciutat Esportiva, pochi chilometri fuori Barcellona. Il presente è questa casa con vista stadio, nel senso di Camp Nou, e cartellone dello sponsor che sovrasta l’ingresso con le facce dei campioni di tutto: “Siamo attaccanti che difendono, siamo difensori che attaccano”. Appunto. “Ospitiamo 60 ragazzi tra gli 11 e i 18 anni”, riassume Carles Folguera, 41 anni e da 8 direttore della Masia. Dove le giornate sono scandite da orari che differiscono a seconda dell’età, ma il ritmo di base suona così: “Sveglia alle sette, colazione, e alle otto tutti a scuola, fino all’una e mezza. Pranzo, riposo, compiti e studio. A seguire, allenamenti. Poi cena e un paio d’ore di svago. Alle undici, luci spente”. Folguera, laurea in pedagogia e un passato da portiere del Barça versione hockey su pista, spiega: “Il club intravede il talento di questi ragazzi, a noi tocca prenderci cura dell’aspetto psicologico e sociale: siamo la loro famiglia”.
Insieme a lui, Ruben e Ricard, professori che seguono gli aspiranti campioni nello studio; poi un medico e l’educatore che organizza le attività nei pochi giorni liberi. E ancora: due cuochi, sette persone di servizio e l’addetto alla vigilanza che garantiscono pasti, pulizie e sicurezza della casa. A fare da mamma, Josefina Brazales, 47 anni, responsabile del personale. Perché tra i problemi c’è “la distanza dalle famiglie. E il fatto che nelle squadre in cui giocavano erano al centro delle attenzioni, mentre qui sono alla pari degli altri. Emergono le insicurezze”. Risolverle, superarle: i primi passi per inseguire il sogno. Quello di Leo Messi, per esempio, il miglior giocatore del mondo, Pallone d’Oro e Fifa World Player 2009, il top di una squadra che ha vinto sei trofei in una stagione. Importato a undici anni dall’Argentina con la crescita compromessa da un deficit ormonale che la famiglia non poteva di permettersi di curare. “Era timido e riservato, ma si faceva volere bene da tutti”, ricorda Folguera. “A scuola non andava bene, ma fino ai 16 anni ha studiato”. Sul campo era già un fenomeno e le cure pagate dal club fecero il resto, regalando al calcio una stella. Poi Iniesta, che è iscritto alla facoltà di Psicologia e intanto fa girare la squadra con Xavi, anche lui passato da qui, certo. E Bojan che viene a studiare inglese. Ma ci sono anche le espulsioni, “per mancato rispetto delle regole”. Già, le regole. “Fino ai 18 anni sono vietati piercing, tatuaggi e capelli colorati”. Altro che Balotelli. “Devono imparare l’uguaglianza e il rispetto, per distinguersi contano solo le capacità sportive”. Alcool bandito, niente telefonini a tavola. E il sesso è argomento da affrontare con l’aiuto psicologico, se serve. “L’obiettivo è accompagnare questi ragazzi verso l’esordio nel Barça, ma sappiamo che pochissimi ce la possono fare: dobbiamo educarli comunque alla vita”. Secondo i valori blaugrana: buone maniere e lealtà. “Insegniamo loro che si può diventare campioni rimanendo umili”. Poi ci sono quelli che non ce la fanno. “Un ragazzo senegalese fino ai sedici anni era il più bravo, giocava da attaccante ed era il miglior amico di Bojan. Ma non migliorava più e finì in panchina”. Bojan titolare, lui a casa: finita la rincorsa al sogno. “La sera in cui gli fu detto piangemmo tutti, il ragazzo tornò dalla sua famiglia ad Almeria, oggi gioca in un campionato minore”. Succede a tanti, ogni anno. Scarti della fabbrica dei campioni. “La prima squadra oggi è composta al 50% da calciatori cresciuti nella cantera, il 35% vengono da Spagna ed Europa, il 15% è costituito da top player”. Albert Capellas, coordinatore tecnico del futbol base, ritorna ai numeri. Alla programmazione. “Vogliamo portare al 60% quelli dal vivaio, riducendo il numero di giocatori acquistati da altre squadre”. E, sulla selezione dei più piccoli. “Privilegiamo quelli di Barcellona che possono vivere e crescere con le famiglie. Poi i catalani e solo dopo la ricerca si estende alla Spagna, al mondo”. Il resto è organizzazione, centralizzata. “Gli allenatori delle giovanili sono tenuti a seguire il programma che gli forniamo noi”, dice Capellas. Noi sta per una specie di comitato centrale del calcio in provetta: direttore generale (Txiki Beguiristain), allenatore della prima squadra (Pep Guardiola) e direttore della cantera (José Alexanco), non a caso ex-compagni del dream team che vinse quattro campionati consecutivi e la prima Coppa dei Campioni tra il ’90 e il ’93, con Johan Cruyff in panchina. “Tutte le nostre squadre giocano con il 4-3-3, ma quel che conta di più è lo stile”. Ovvero? “I ragazzi devono imparare a prendersi la responsabilità tecnica e caratteriale di toccare la palla e costruire il gioco, interpretando il calcio in modo creativo e offensivo”. Chi ce la fa, dopo la trafila passa al Barça Athletic. La seconda squadra che gioca nel Mini Estadi, dove i commenti dei tifosi rimbalzano giù dalle vecchie gradinate fin dentro il prato con lo stemma del Barça tatuato a colori sull’erba. Niente nomi sulle schiene dei giocatori – numeri da 1 a 11 – che in partita mettono in pratica i comandamenti: rispetto del compagno, delle distanze e dell’avversario. Si gioca a uno, due tocchi. Triangoli, tagli e accelerazioni, buona tecnica. E sempre all’attacco. Sullo sfondo, la sagoma del Camp Nou. Sogno e punto d’arrivo. Il Barça, campione di tutto.

fonte:repubblica.it